BENEDETTO BONAZZI
IL MONACO, L’ARCIVESCOVO DI BENEVENTO, LO STUDIOSO (1840-1915)
Sono trascorsi cento anni dalla morte di mons. Benedetto Bonazzi, i cui resti mortali dalla chiesetta di Santa Clementina, sull'antica Appia, tra il colle della Gran Potenza e il ponte Leproso, dove venne sepolto, sono stati traslati di recente nella cripta moderna della Chiesa cattedrale di Benevento. Imponente il monumento funebre disegnato da Almerico Meomartini e soffusa di commozione e gratitudine l’epigrafe dettata dal canonico Gaetano Cangiano. Benedetto Bonazzi nacque a Marigliano il 12 ottobre 1840 dal conte Nicola dei Baroni di Sannicandro, nobile di Bergamo, nobile patrizio di Bari, e da Adelaide Sorrentino dei baroni di Pomigliano. Secondogenito di sei figli, a sette anni venne inviato allo studentato benedettino dell’abbazia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni, ove attese alla formazione e agli studi. Possedeva un animo innocente, uno sguardo limpido, una semplicità trasparente: tutta la sua vita fu ispirata a questo mondo, fatto di delicatezza d'animo e di finezza di sentimenti. A Montecassino, dove compì il noviziato, ebbe come maestro dom Camillo Le Duc, un austero monaco cui il Bonazzi tanto attribuiva della sua formazione spirituale. Il 15 agosto 1859, a 19 anni, emise la professione solenne di vita monastica e il 19 dicembre 1863 fu ordinato sacerdote a Napoli per l’imposizione delle mani di mons. Tommaso Michele Salzano, arcivescovo titolare di Edessa. Il Bonazzi si trovò a vivere e ad operare in anni difficili e complessi, gli anni della unificazione politica dell’Italia, ma anche l'epoca della massoneria dominante, del radicalismo trionfante, di un anticlericalismo talora gretto e becero. Il decennio 1860-70 costituì una prova lacerante per la Chiesa italiana tra leggi eversive e soppressioni: ordini e congregazioni religiose sciolti, scuole chiuse, seminari requisiti, monasteri spopolati, clero vilipeso. Nell’abbazia di Cava di 14 monaci rimasero soltanto poche unità, ma erano di tempra come l'abate Michele Morcaldi, Guglielmo Sanfelice, Benedetto Bonazzi. Questi uomini eccezionali riaprirono il monastero e vi accolsero seminaristi di ogni diocesi; il Bonazzi fu la giovanissima guida dei futuri sacerdoti. Nel 1867 a Cava sorse, come nuova sfida alla cultura settaria, il collegio «S. Benedetto» per la formazione dei laici. Il Sanfelice ne fu rettore e il Bonazzi, che nel frattempo in data 12 dicembre 1865 aveva conseguito la laurea in lettere all'Università degli Studi di Napoli, ne divenne docente. All’attività didattica egli unì lo studio e la ricerca; «si dedicò allo studio delle lingue classiche, in particolare del greco, approfondendo i problemi della grammatica e del lessico. Esperto dei nuovi indirizzi filologici della linguistica comparativa ed etimologica, si propose di introdurre nella scuola italiana il nuovo metodo, con l’applicazione pratica della grammatica di G. Curtius, col quale fu in corrispondenza, a brani di letture greche progressive» (G. Bianco). I frutti di tanto impegno si tradussero nelle sue prime opere: «L'insegnamento del greco in Italia» (1869), la «Grammatica del Curtius» (1869), «Corso di analisi grammatico-radicale comparativo in applicazione della grammatica del Curtius».
Il 27 febbraio 1872 il Bonazzi venne nominato professore pareggiato presso l’Università degli Studi di Napoli e in un primo momento per dar decoro alla Chiesa e all'ordine monastico, pensò di accettare, successivamente, dietro consiglio dei Superiori, declinò l'incarico, preferendo dedicarsi alle scuole dell’abbazia. Nel 1878 il Sanfelice fu chiamato alla sede cardinalizia di Napoli e il Bonazzi divenne l'unico responsabile dell’istituto. Fu allora che pubblicò le sue opere maggiori e in particolare il «Dizionario greco-italiano», un lavoro ponderoso, considerati i tempi e le difficoltà, che mise fine ad una umiliante carenza culturale in campo nazionale. L'opera fu venduta in proprietà perpetua all'Editore Morano di Napoli, che ne pubblicò ben venticinque edizioni tra il 1880 e 1927. Intanto il nome di Bonazzi valicò le mura del monastero e s'impose presso uomini di cultura in Italia e all’estero. Morto l'abate Morcaldi, il Bonazzi fu chiamato a succedergli e nel 1902 Leone XIII, apprezzandone le doti di cuore e d'intelligenza, lo volle successore del Di Rende e del Dell’Olio nella sede arcivescovile di Benevento. Come pastore Egli diede tutto quel che poté senza riserve e risparmi. Era uno studioso, un contemplativo, pur tuttavia seppe reggere con zelo la cattedra di San Gennaro e di papa Orsini. Visitò con dedizione pastorale la diocesi, curò il seminario, apportò restauri alla cattedrale (fu sua iniziativa il discusso ciborio e l'altare della confessione, oggi distrutti, la cui progettazione affidò al Meomartini). Aprì agli studiosi gli archivi dell’arcidiocesi di Benevento, specialmente della Biblioteca Capitolare, ne sollecitò la ricerca, ospitò nell’arciepiscopio L. Pastor, H. Marriot Bannister, J. Pothier, R. Andoyer. Tenne con assiduità le sue appassionate omelie al popolo, scrisse diverse e apprezzate lettere pastorali, celebrò un importante sinodo diocesano. Forse i lunghi studi non l'avevano preparato in modo adeguato a una pastorale e a una amministrazione fatta di esperienza di vita, più che di libri: tuttavia il suo animo semplice e delicato supplì alle esigenze dell'ora con una carità profonda e ammirevole. Benedetto XV, al par degli altri pontefici, apprezzò moltissimo le doti di questo illustre pastore e lo preconizzò cardinale; ma prima che la porpora lo raggiungesse, il Bonazzi, assistito da mons. Alessio Ascalesi, allora vescovo di Sant’Agata dei Goti, tornò alla Casa del Padre il 23 aprile 1915 maerore fletuque bonorum.